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Visualizzazione dei post da dicembre, 2008

IL BEATLES DEL PALLONE

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Non conoscevo la storia di Luigi Meroni, il giocatore del Torino degli anni ’60. L’ho conosciuta in un bel servizio che gli ha dedicato il programma di Giovanni Minoli, “La storia siamo noi” (visibile sul sito www.lastoriasiamonoi.rai.it ). Bel modo di presentare il calcio. Non limitato al solo giocatore, bensì specchio di un intero periodo. Quello degli anni ’60. Meroni, giovanissimo doveva andare all’Inter, sua madre si oppose (come sono cambiati i tempi!). Andò al Como, Genoa, poi Torino. Portava i capelli come i Beatles, conviveva con una spostata. Non era ben visto nel calcio conformista di allora. I tifosi lo adoravano per la sua estrosità. Lo voleva la Juve, ci fu una mezza rivoluzione in città, rimase granata. Triste il finale della “sua partita”, a 24 anni: fu ucciso investito da un’auto guidata da Attilio Romeo, sul cruscotto aveva la sua foto. Trentatre anno dopo sarà presidente dei granata.

IL COMANDANTE DI VARESI

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Una rapina in un bancomat. Un morto trovato lungo il Po. Un ex comandante partigiano, trovato anch’egli morto in casa, dimenticato da tutti. Tre fatti apparentemente senza collegamento. E invece uniti da un comune filo. A tracciarlo è stato il giornalista Valerio Varesi nel romanzo “ La casa del comandante ” (Frassinelli, 2008, pp. 280), nuova avventura del commissario Soneri. Un commissario salito agli onori delle cronache grazie al serial tv interpretato da Luca Barbareschi e Natasha Stefanenko. Non male il romanzo di Varesi: più thriller poliziesco, anziché giallo. Soprattutto nell’amalgamare la storia con il paesaggio, quello della Bassa emiliana, contraddistinto dal lento fluire del Po. Se non ci fosse di mezzo quel fiume parrebbe di essere di fronte a un romanzo di Simenon, tanto sono cupe le atmosfere, nebbiosi i paesaggi. Nella storia non mancano alcuni riferimenti all’oggi, come l’avversione per lo straniero e il modo ribelle di leggere la società attuale.

IL FEDERALE

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Uno dei pochi canali che ancora non ha abdicato nella programmazione dei film è La 7. Non solo continua a darli, addirittura lo fa in orari “accessibili”. Finanche il sabato con la bella iniziativa “La valigia dei sogni”, sul cinema italiano. Per esempio ieri sera c’è stato “Il Federale” per la regia di Luciano Salce con Ugo Tognazzi. Realizzato nel 1961 è uno dei primi film del dopoguerra a parlare del ventennio fascista. Lo fa sotto forma di commedia all’italiana, mischiando il riso alla riflessione. Non è un film di denuncia, né tanto meno documentarista, bensì di satira. D’altronde come non sorridere di fronte a un fascistello fanatico (Tognazzi) che corona il sogno di divenire federale proprio quando il fascismo cade. Come se Berlusconi venisse riconosciuto uno statista tutto tondo proprio in letto di morte. Dimenticavo, qui siamo alla fantascienza pura.

L'ANTIGONE MODERNA

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Le leggi, l'ordine, le regole, al di sopra di tutto. Addirittura prima dell'uomo stesso. Decisamente bella la pellicola “I cannibali” per la regia di Liliana Cavani. È stata presentata al San Biagio a Cesena in chiusura della rassegna sul '68. Era presente la regista, piuttosto scorbutica e scontrosa. Irritata alle domande. Non so se per timidezza o per carattere (propendo per la seconda). So invece che “I cannibali” è stato un film bellissimo. Realizzato nel 1969, indirettamente parla delle rivolte dell'anno prima. La storia: una città sommersa di cadaveri di giovani ribelli, lasciati marcire in strada, esempio “educativo” per tutta la popolazione. Un conformismo di indifferenza generale, spezzato dalla giovane Antigone (chiaro riferimento a Sofocle), decisa a dare una degna sepoltura al fratello. Tra le tante tragedie, il film si chiude con una speranza. Musiche di Morricone, notevole Tomas Millian.

IL PORTIERE DEGLI ULTIMI

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Si chiamava “Era 77”. Si chiamava perché ora non c’è più. Era l’associazione di Astutillo Malgioglio, personaggio ricordato per il nome di battesimo un po’ un strampalato, dalla carriera calcistica non stellare ma neanche da buttare. Malgioglio fece parlare di sé perché fu tra i primi a coniugare l’impegno sportivo con l’azione sociale. “Era 77” aiutava i bambini distrofici. Oggi non c’è più perché i soldi sono finiti, la salute di Malgioglio non è più quella di un tempo e il calcio dimentica in fretta chi esce dai binari del binomio “successo-veline”. Se avesse fatto il commentatore tv o l’allenatore oggi sarebbe ancora sulla cresta dell’onda. Ha scelto un’altra strada. Più silenziosa. Dopo una burrascosa parentesi negli anni ’80 con la Lazio (i tifosi non gli avevano perdonato l’aver giocato nella Roma), aveva deciso di smettere. Lo chiamò il Trap all’Inter. Vinse lo scudetto del record, vice di Zenga. Una bella soddisfazione.

A FUROR DI PALLE

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Ormai è tutta una questione di “palle”. Per giocare sì, ma anche per vincere. Emblematica La Voce di oggi nelle pagine sportive. Titolo a pagina X: Campedelli: “Con la Spal abbiamo tirato fuori gli attributi”. Vai alla pagina successiva (XI): Fabbri: “Mancano cuore e attributi”. Campedelli è il giovane presidente del Cesena, Fabbri quello del Ravenna. Evidente che il primo ha vinto – e che vittoria, contro la Spal prima in classifica – mentre il secondo ha perso. Animi diversi, dunque. Inquieta però questo modo di titolare, e quindi di vedere il calcio. Tutto si riduce a una questione di “attributi”. Presenti nel caso della vittoria, assenti in caso di sconfitta. Domenica prossima ci sarà Cremonese-Cesena. Nel caso di sconfitta dei bianconeri (mi auguro di no) sulla Voce mi aspetto un: “Ci hanno castrato gli attributi”. E il Ravenna col Venezia: “Palle affogate in laguna”.

UN CALCIO AL SILENZIO

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Se Del Piero fa un gol in fuorigioco, un difensore entra duro su Ibrahimovic, Cassano ne combina una delle sue, le telecamere si scaldano. Così come il pubblico, degno erede del paese dei guelfi e dei ghibellini. Se però due giocatori in macchina dopo la partita, vengono affiancati da un’auto con sei persone incappucciate pronte a tagliargli la strada, farli uscire e prenderli a calci e pungi, la cosa passa sotto silenzio. Giusto qualche riga di giornale, accompagnata dalla solita manfrina “non si può andare avanti così”. Tutto questo è avvenuto domenica scorsa, a due giocatori dello Stabia (Alex Brunner nella foto, e Alessandro Radi), dopo la partita Juve Stabia – Lanciano, vinta dagli ospiti per due reti a zero. Stessa sorte all’allenatore campano, Massimo Morgia, colpito durante la gara da una bottiglia in testa. Nessuno dei tre vuole più rimettere piede a Castellamare. Questo ovviamente non fa notizia. Meglio il tatuaggio di Cannavaro: addirittura è finito in un quiz di Carlo Conti