Il calcio totale di Sacchi
Romagna Gazzette, luglio 2017
Su Arrigo Sacchi, il più grande rivoluzionario della
storia del calcio italiano, si è scritto di tutto di più. Probabilmente poco si
è scandagliato sulla sua romagnolità. O meglio, sul nesso tra la sua idea di
gioco e la terra dove è nato, cresciuto e tuttora vive. Una mano in questa
direzione ce la dà la sua autobiografia raccontata insieme a Guido Conti, “Calcio
totale”, uscita da Mondadori due anni fa, ripubblicata da poco in versione
economica negli Oscar. Sacchi dice di essere “nato con una doppia anima, una
lombarda e una romagnola. Quella lombarda mi viene da mio padre, con il senso
del lavorare duro, del sacrificio, dell’impegno e della perfezione per ottenere
risultati. L’anima romagnola, sognatrice ed energica, viene da mia madre Lucia,
e affonda le radici nella terra”. E’ evidente che il calcio del tecnico di
Fusignano si è più nutrito di organizzazione e metodo, anziché di sogno, tant’è
che in un altro passaggio del libro scrive che il 90 per cento del successo
arriva dallo studio, dal lavoro e dalla pianificazione. Dunque, spazio per la
creatività ce n’è poco. Eppure Sacchi dimentica un elemento che con ogni probabilità
ha influito su di lui molto più di quanto immagini. È un tratto del Dna dei
romagnoli, particolare humus del ravennate: la cultura del fare le cose insieme
figlia della cooperazione. A differenza dei riminesi, terra di mezzadri, i
braccianti del ravennate storicamente hanno messo da parte il loro individualismo
per mettersi insieme e fondare le prime cooperative d’Italia. Un esempio
lampante è il mitico teatro socjale di Piangipane, creato dalla Cooperativa
Agricola Braccianti, all’inizio del secolo. In anni nei quali i soldi erano
pochi, dei braccianti decidono di costruire un teatro. Il gioco di Sacchi, in
fondo, è stata l’applicazione del modello cooperativo dentro un rettangolo di
gioco, dove al singolo viene anteposto il collettivo, il gioco di squadra. Una
cultura decisamente nuova nel panorama nutrito di ego della cultura italiana.
Non a caso Sacchi eleva la sua concezione di calcio a un piano quasi morale:
“una vittoria senza merito non è una vittoria”. La bellezza e il gioco per lui
sono un imperativo quasi etico. E quando il suo disegno si è incontrato con
quello di un altro “sognatore”, Silvio Berlusconi, ecco che quel mix di
romagnolità e cultura lombarda è deflagrato a livello internazionale tanto da
annoverare quel Milan tra le squadre più belle della storia del calcio.
“Romagna solatia dolce paese” scriveva il Pascoli. Ecco, Sacchi ha trasfuso
quei versi in mezzo a un campo di gioco. Chapeau!
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