Davide Oldani, una cucina Pop
Pubblicato
su “MilanoMarittimaLife” Winter 2017
Sembrava
destinato alla carriera in campo. Non a coltivar l’orto in campagna ma in
calzoncini corti dietro a un pallone. Giocava nella Rhodense, attaccante, prometteva
bene in C2. Poi qualcosa si rompe (tibia e perone in un colpo solo), la scuola
alberghiera diventa la priorità. A 16 anni dalle stelle del football a quelle
Michelin alla corte di Gualtiero Marchesi a fare esperienza. “Tu sei come una
spugna – gli disse il Maestro - assorbi tutto e poi comincerai a cedere l’acqua
che hai trattenuto”. Dieci anni di gavetta, iniziati come aiuto cuoco e
terminati da chef. L’inizio di un percorso tutto maiuscolo, approdato nel 2003
al ristorante D’O a Cornaredo vicino a Milano, culla della sua ideazione, la cucina
Pop. Quel “Pop” sta per alta qualità accessibile a tutti: prima di lui, qualità
e accessibilità, erano considerate un ossimoro. Nel 2008 l’Ambrogino d’Oro dal
Comune di Milano, cinque anni dopo in cattedra niente poco di meno che ad
Harvard. E ancora, locali a Manila e Singapore, lo scorso anno la nomina dal
Coni Food & Sport Ambassador,
chiamato come chef a Casa Italia per le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Un
tourbillon di idee in cucina in continuo movimento.
Lei è inventore della
Cucina Pop: qualità e accessibilità possono andare insieme?
“Assolutamente
sì. Pop è un modo di essere e di cucinare. Dopo l’esperienza di Expo ci siamo
detti che cucina e cibo dovevano essere per tutti. Sono gli stessi principi che
hanno ispirato la nostra scommessa nel 2003 quando abbiamo aperto il ristorante
D’O”.
E' considerato tra i
grandi chef d’Italia: le pesa il ruolo?
“Francamente
non lo so, sono gli altri che lo dicono. Faccio un mestiere che amo e che adoro:
il cibo è l’uomo. Cibo e sport sono due elementi essenziali della vita”.
Secondo Petrini, il
cuoco fa un atto agricolo: concorda?
“Il
cuoco deve dare valore aggiunto al prodotto della terra. Questo rende
fondamentale il lavoro del contadino che la terra la vive”.
Come arriva una idea?
“E’
la stagionalità dei prodotti a deciderlo. Il cuoco deve trovare il giusto
equilibrio dei contrasti, principio che è alla base della cucina Pop”.
Il migliore complimento
che ha ricevuto?
“Quando
un cliente, qualunque esso sia, dalla persona di strada al personaggio
pubblico, esce soddisfatto dal locale. Può sembrare una banalità ma non lo è”.
La critica che ‘ha
ferita?
“Quando
vengo criticato per le modalità di accesso al D’O, spesso per le lunghe liste
di attesa, oppure quando la cucina viene criticata senza averla conosciuta”.
Cosa ne pensa della
critica così diffusa tra social, Tripadvisor e altre forme?
“Viviamo
nell’epoca della comunicazione democratica, dobbiamo accettarla. Solo una cosa
pretendo: il giudizio, qualunque esso sia, deve essere firmato. Chi critica è
libero di farlo, però deve essere riconoscibile. Così si alimenta il senso di
responsabilità”.
È cresciuto al fianco di personaggi come
Gualtiero Marchesi, Albert Roux, Alain
Ducasse, Pierre Hermé: che esperienze sono state?
“Fondamentali,
soprattutto perché le ho fatte nei momenti giusti del mio percorso. I maestri
sono figure molto importanti per fare esperienza e comprendere il lavoro di
altri. Fatta una propria solida base poi ognuno intraprende il proprio
percorso”.
In cattedra ad Harvard e all’Università di Business parigina HEC:
che esperienze sono state?
“Quando
arrivò la chiamata di Harvard un po’ mi prese in contropiede. Soprattutto
perché non mi avevano chiesto di cucinare, bensì di raccontare l’approccio al
lavoro. In sostanza, il modo di fare cucina Pop è stato decretato un case history per i giovani nella
gestione di un’azienda”.
Ambrogino d’oro nel 2008: si sente
profeta in patria?
“Sì, e
mi fa molto piacere. Milano è la mia città e avere ricevuto un riconoscimento
così importante mi riempie di orgoglio”.
Ristoranti a Manila e
Singapore: perché all’estero?
“Per
tante ragioni: business, ambizione personale, voglia di nuove sfide. A gennaio
apriremo a Shanghai e non vedo l’ora di questa nuova avventura”.
Come vedono all’estero
la cucina italiana?
“Negli
ultimi anni la crescita è costante nella considerazione, sia a livello di
prodotto sia grazie ai cuochi”.
Se le dico Milano Marittima…
“Confesso
che non ci sono mai stato. Mi piacerebbe venirci, in tanti mi parlano bene
della gente e della località. Faccio una promessa: a breve ci verrò”.
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