Post

La rivoluzione di Cruyff

Immagine
Romagna Gazzette, Aprile 2017 C’è chi la rivoluzione l’ha fatta in campo, palla al piede, idee al seguito. E chi seduto su una panchina, lavagna d’ordinanza, filosofia di collettivo. Poche volte la stessa persona è riuscita a fare entrambe le cose. Prendiamo Maradona e Pelè: fenomeni in campo, ma solo lì. Prendiamo Sacchi: rivoluzionario sì come mister, ma più che un calciatore è stato un calzolaio (Fusignano un tempo eccelleva in questo). Oppure prendiamo Beckenbauer, grande in campo e vincitore in panchina, però tutt’altro che rivoluzionario, anzi persino conservatore a guardar la pochezza di gioco della sua Germania vincitrice al Mondiale del ’90. Uno dei pochissimi innovatori in tutto è stato Johan Cruyff, “l’unico che rimanendo borghese ha fatto la rivoluzione due volte, in campo e in panchina, come calciatore e come tecnico, con i piedi e con la testa” (Federico Buffa e Carlo Pizzigoni). È passato un anno dalla sua scomparsa, le sue idee sono rimaste, così come la sua vi

Il mio primo ebook con Conan Doyle

Immagine
Difficilmente dimenticherò “ Uno studio in rosso ” (Einaudi) di Conan Doyle . Non tanto e non solo perché si tratta del primo romanzo che ha per protagonisti Sherlock Holmes e il suo fido medico Watson. Bensì perché è il primo romanzo che leggo su un ebook , il Kindle per la precisione. Esperienza unica, non c’è che dire: a parte una certa imbranataggine all’inizio, ho apprezzato la praticità di questa lettura che consente anche di sottolineare parti di testo e non affatica l’occhio. Un bell’inizio che non poteva trovare miglior battesimo con un romanzo di Doyle. “Nella matassa incolore della vita, corre il filo rosso del delitto, e il nostro compito consiste nel dipanarlo, nell’isolarlo, nel metterlo in luce istante dopo istante”, dice Holmes. Che al di là del riferimento al color rosso, che dà il titolo a questo romanzo, in quelle poche righe spiega la sua missione nella società inglese: risolvere enigmi, laddove la polizia non arriva, attraverso l’arma della deduzione scientifica. C

Il lupo di Baldini

Immagine
La montagna con i suoi ritmi, le sue tradizioni, la sua fauna. Un periodo storico, gli anni ’50, in subbuglio per i moti di piazza e le repressioni del ministro Scelba. “ Come il lupo ” (Einaudi, 2005, pp. 236) di Eraldo Baldini , ricorda alcuni romanzi di Loriano Macchiavelli, col suo commissario Santovito. Tanti i punti di contatto tra il bolognese d’adozione e Nazario Minghetti commissario del Corpo Forestale di Baldini: la divisa, il passato da ex partigiani, l’Appennino tra Toscana ed Emilia-Romagna, il carattere chiuso dei montanari segnati dall’isolamento e il duro lavoro, il forte legame con un passato (prossimo e remoto) che non passa, e soprattutto la forza di consuetudini tradizioni culturali insite nel Dna della gente. Ed è proprio il fil rouge del passato l’aspetto più significativo nel romanzo dello scrittore ravennate, non più concentrato sulla storia in stile noir nel genere che l’ha fatto conoscere al pubblico col suo gotico rurale, ma sulle leggende e l’antropologia

Il delitto di nozze

Immagine
È impietoso il ritratto della Milano di Lucia Tilde Ingrosso, nel noir “ A nozze col delitto ” (Kowalsky, 2007). Non tanto perché scava nei classici bassifondi del malaffare in stile Scerbanenco, bensì nella cosiddetta Milano bene, reduce dall’euforia yuppista degli anni Ottanta e oggi alle prese con una selva di rapporti umani liquidi. Nell’omicidio del bravo ragazzo, Vittorio Aldobrandi, c’è lo scoperchiamento di una doppiezza di vita da far paura: la promessa sposa Ludovica Malinverni che vive un’altra storia d’amore sin alla vigilia dell’altare; il nullafacente col vizio del gioco d’azzardo; la giovane e procace innamorata pazza di Vittorio ma soprattutto della sua posizione sociale… Insomma, un sottobosco di relazioni prive della loro autenticità, unite per lo più dall’interesse. In questo contesto indaga il giovane commissario Sebastiano Rizzo, tutto lavoro, vizio del fumo, e la sola passione per il footing e l’Inter. Classico personaggio positivo con pochi difetti, decisament

Borgorosso

Immagine
“I tifosi sono delle bestie, una cosa disgustosa”. Benito Fornaciari, bibliotecario vaticano, abituato a prelati e modi affettati, era tutto tranne che un appassionato di pallone. La periferia della Romagna col suo bar sport, il barbiere dove si legge e commenta il giornale sportivo, la campagna coi suoi riti, il parroco che accorcia la messa per la trasferta, l’allenamento a spalare il fieno, non erano il suo mondo. Eppure anch’egli ne finisce conquistato e manda in rovina l’azienda pur di avere Omar Sivori. “Il Presidente del Borgorosso Football club ” (1970, regia di Luigi Filippo D’Amico) è uno dei film più celebri sul pallone, magistralmente interpretato dall’Albertone italiano, Sordi. È il clima da strapaese a dominare. E il film, più che profetico, visto con gli occhi di oggi, è lo specchio di un passaggio epocale: dalle piccole comunità locali che si ritrovavano intorno alla squadra, il calcio si è spostato al villaggio globale di Sky. E agli spalti del Borgorosso sono subentra

Quei delitti che ingannano

Immagine
Mentre in Italia prendeva forma l’unità della nazione, dall’altra parte del mondo aveva inizio una guerra civile destinata a dividere un popolo, quello americano. Il titolo del romanzo di Anne Perry (nella foto), “ Delitti tra Nord e Sud ” (I Classici del Gialli Mondadori n. 944), allude a quell’evento storico. E come buon romanzo giallo che si rispetti, inganna il lettore. Perché la guerra civile tra schiavisti e non, ha sì la sua importanza, ma rimane sullo sfondo. Prima ancora viene l’Inghilterra, teatro al centro della storia che vede per protagonista gli affezionati investigatori della scrittrice, Monk e Hester. Uno strano ricatto, una contesa vendita di fucili agli eserciti americani in guerra, l’omicidio del mercante d’armi Daniel Alberton, l’eterna sete del denaro. È brava la Perry a dosare nel giusto modo gli ingredienti della suspance e tenere incollato il lettore fino all’ultima pagina. D’altronde non abbiamo di fronte una delle maestre del genere?

Al Ristorante? Sì, ma prima è meglio prenotare

Immagine
Partiamo da un dato di fatto: di libri di cucina ormai il panorama editoriale è pieno. Aggiungiamo una seconda constatazione: in genere si tratta di volumi con stellette, bicchieri, acini, insomma con metri di giudizio soggettivi destinati a essere condivisi o meno. In tutto ciò non c’è nulla di male, per carità. Se infatti è vero che uno dei tratti caratteristici del “made in Italy” è la nostra tradizione gastronomica, l’editoria non può fare altro che adeguarsi. Così come non c’è nulla di scandaloso nel punteggio (disinteressato) di un esperto, a un ristorante o a un vino. Gli unici limiti in questo modo di procedere stanno (molto spesso) nel produrre dei testi a “scheda”: valutazioni e descrizioni tecniche prevalgono su tutto il resto, lasciando in subordine storie e racconti dei protagonisti. Ovvero di coloro che lavorano sul campo, e danno anima e corpo a quel piatto e a quel vino.

Rigore

Immagine
Orazi e curiazi, guelfi o ghibellini, rossi o neri. Il rigore, duello per antonomasia del calcio, è l’essenza dell’italianità: l’uno contro uno, il dentro o fuori, si vince o si perde. Il pareggio non è ammesso. Per un mondiale vinto dagli undici metri (Berlino 2006), ci portiamo una scia di mire sballate da lasciare il segno (Italia 90, Usa 94, Francia 98…). Poche volte il penalty ha dato soddisfazione ai colori azzurri. Un po’ come a William McCrum, l’irlandese che lo inventò poco più di 120 anni fa. Davanti alla sua porta si colpiva di tutto, la palla poche volte. Lampo di genio, inventa il rigore. Solo che in vita sua non ne parerà neanche uno, triste destino degli inventori incompresi. Meglio andrà al ceco Panenka che oserà il primo cucchiaio della storia e a Cruyff che inventerà il rigore a due tocchi. Il peggio è del gialappesco John Terry: scivola nell’atto di una sicura Champions tra le mani. Pare che dalle parti del dischetto sia stato visto con un annaffiatoio l’ex amico (co

Bidone

Immagine
C’è spazzatura e spazzatura. Quella da raccolta differenziata e quella che pareva valere oro e invece nemmeno la peggiore discarica è disposta ad accogliere. I bidoni calcistici fanno parte di quest’ultima categoria. I tratti comuni di questa monnezza stanno nel parlare straniero, in stipendi da favola, e in un comune percorso comunicativo. L’iter di solito funziona così: la società annuncia l’acquisto di un calciatore di cui si dice un gran bene (da chi? Boh). La tifoseria va in visibilio, arriva la prima presentazione pubblica, cori e sciarpe non mancano. Poi la conferenza stampa, dove il giocatore dice di avere scelto la squadra perché crede in questo progetto importante (“importante” è la parola più gettonata). A parole tutti bravi. Solo che al calcio ci giochi coi piedi, e qui iniziano i guai: il fuoriclasse si rivela una sòla e la differenza in campo sì che la fa, ma per gli avversari. Il bidone più celebre è stato Luis Silvio Danuello, quello di ultima generazione lo si può ad

Pubblico

Immagine
È l’oggetto del desiderio di ogni società sportiva. Un tempo bastava lo stadio, rigorosamente la domenica. Oggi non bastano neanche i sette giorni della settimana a contenere la massa di eventi sportivi offerti. Altro che Rita Pavone con le sue domeniche solitarie, adesso c’è il non stop a ciclo continuo. Solo che finché i mariti se ne andavano al campo sportivo a sfogare le loro pulsioni, poteva pure andare, ma ora che la tv è l’oggetto del contendere le cose si sono complicate persino nelle case. Telecomando, calduccio casalingo, replay in hd, bibite e pop corn, e soprattutto portafoglio più gonfio (la tv conviene). Gli spettatori allo stadio calano dell’8 per cento l’anno, e piazze da Champions League come l’Udinese non arrivano ai 7mila spettatori. A Parma alcune settimana fa i paganti erano addirittura 2.860, a Trieste hanno inventato le sagome. Il pubblico di cartone, proprio quello che ci mancava. Naturale genesi da spettatori da stadio a telespettatori da video. ( La Voce